Lecce, 10 giugno 2025 – Nonostante la buona volontà, proprio non si riesce a superare il carattere emergenziale con il quale ogni anno si affronta il tema dell’accoglienza dei braccianti agricoli stranieri.
Chiesto lo scorso 5 maggio dalle organizzazioni sindacali per discutere tempestivamente di accoglienza, trasporto e mercato del lavoro (i tre pilastri sui quali si fonda il giro d’affari del caporalato), la Prefettura ha scelto di convocare il Tavolo provinciale permanente in materia di lavoro stagionale solo il 9 giugno. Ed esclusivamente per parlare di un progetto di cambio della governance di Boncuri, con partenariato pubblico/privato. Un protocollo realizzato all’interno dello stesso Tavolo permanente nel mese di maggio, senza però consultare le organizzazioni sindacali. “Cgil e Flai Cgil di Lecce non intendono assolvere al ruolo di meri certificatori di decisioni prese da altri”, spiegano Tommaso Moscara e Alessandro Fersini, segretari generali territoriali delle due sigle sindacali. “Riteniamo il Tavolo odierno solo interlocutorio e stigmatizziamo il modus operandi di Regione e Prefettura. Ci sono molti aspetti da chiarire anche nel merito, per questo evidenziate le criticità riteniamo che la Regione Puglia per la stagione ormai iniziata debba procedere al finanziamento come negli anni passati. Una soluzione-ponte per arrivare preparati e con un percorso condiviso alla modifica della governance del modello Boncuri, argomento dal quale non ci sottrarremo e che va affrontata durante tutto l’anno nella Sezione territoriale della Rete del lavoro agricolo di qualità, istituita proprio presso la Prefettura e mai convocata”.
La convocazione e il villaggio. Anche quest’anno si parte con estremo ritardo, mentre i lavoratori sono già al lavoro nelle campagne. Proprio non si riesce a pianificare per tempo le attività da svolgere. Nonostante i buoni propositi e le dichiarazioni dell’assessore regionale alle Politiche migratorie, Viviana Matrangola, dunque, il carattere emergenziale della gestione del campo è confermata nei fatti. Il villaggio Boncuri negli anni ha sì fornito una risposta al bisogno alloggiativo dei lavoratori migranti, me nel tempo ha anche assunto la forma di un ghetto istituzionalizzato e legalizzato, lontano dal centro abitato, avulso da politiche di inclusione, isolato per l’assenza di trasporto pubblico. Stando a quanto dichiarato dal Comune di Nardò, pare oggi pronto ad accogliere i lavoratori: i cancelli però resteranno chiusi fino alla firma del protocollo e del regolamento per accedere alla struttura di accoglienza. Proprio dalla bozza di progetto di gestione pubblica/privata del villaggio - elaborata da Prefettura, Regione, Comune di Nardò e aziende - emergono molti dubbi sulla sostenibilità economica del campo. Dubbi confermati dalla Regione che nel giro di tre anni intende azzerare le risorse (già dimezzate da quest’anno).
Il modello “Foresteria”. È innegabile come nel Salento, in particolare nell’area intorno a Nardò, i lavoratori vivano in condizioni di disagio abitativo e lavorativo. Anche oltre la stagionalità della raccolta ortofrutticola estiva. Per il sindacato sarebbe il caso di offrire una prospettiva più lunga del periodo giugno-settembre ed anche di offrire maggiori moduli abitativi. Nel periodo di punta, il bisogno di accoglienza va ben oltre le 320 persone che Boncuri può ospitare: “Chi ha realmente contezza della situazione dentro e fuori dal campo, sa benissimo che la capienza è decisamente insufficiente. Tanto più se si considerano anche quei lavoratori in attesa di un contratto, ai quali è reso impossibile accedere al campo. È necessario intervenire sul problema abitativo: non è concepibile lasciare fuori dall’ospitalità lavoratori arrivati per lavorare nei nostri campi”. Anche sulla gestione, Cgil e Flai muovono alcuni dubbi: “Si chiede una suddivisione proporzionale dei costi tra i sottoscrittori del Protocollo, estendendo la compartecipazione alle spese anche ai lavoratori. Rigettiamo la proposta di chiedere ai lavoratori un contributo di 2 euro al giorno a titolo di welfare aziendale: questi sono temi che vanno trattati in sede di contrattazione collettiva”.
Il marchio etico. Infine viene criticata la possibilità offerta alle aziende che comparteciperanno alla spesa di gestione (100 euro al mese a lavoratore) di ottenere un marchio etico, semplicemente perché versano un contributo per sostenere la foresteria, che tra l’altro non si sa ancora a beneficio di chi sarà erogato. I veri criteri per stabilire se un’impresa è davvero rispettosa dei diritti dei lavoratori sono fondamentalmente due: il rispetto del contratto e delle norme sulla sicurezza nei campi”.