In un momento storico segnato da crisi economiche, disagi sociali e sfiducia nelle istituzioni, il ruolo del sindacato e delle amministrazioni locali diventa cruciale. In questa intervista, un consulente sindacale con esperienza politica racconta con lucidità e passione il suo impegno quotidiano.
Le criticità del territorio di Nardò e le prospettive per un futuro più giusto e partecipato. Di che cosa si occupa, concretamente, un consulente sindacale come lei?
Oggi considero il mio mestiere il più bello del mondo, perché ha l’obiettivo – o almeno ci prova – di risolvere i problemi dei cittadini, ci si interfaccia con i diversi uffici: l’INPS, o l’Agenzia delle Entrate. E mi creda, negli ultimi anni sono sempre più frequenti e difficili da affrontare. È fondamentale lavorare sempre con trasparenza e onestà. Siamo umani e può capitare di sbagliare, ma spesso quel semplice “grazie” da parte della gente ti riempie il cuore e ti fa sentire davvero utile. Purtroppo, il periodo pandemico e quello immediatamente successivo hanno portato a un isolamento degli uffici pubblici, causando un vero e proprio distacco tra cittadini e tecnici. Per accedere a strutture come l’INPS o l’Agenzia delle Entrate è ormai obbligatorio fissare un appuntamento telefonico o online. È venuto meno, a mio avviso, il contatto umano, il guardarsi negli occhi: gesti semplici ma significativi che davano un senso al nostro lavoro.
Cosa può fare oggi il sindacato per migliorare l’accesso e la qualità dei servizi sociali nel nostro Comune?
ll Comune di Nardò rappresenta, purtroppo, un caso emblematico. L’attuale amministrazione sembra aver eretto un muro nei confronti delle reali esigenze dei cittadini, scegliendo di risparmiare proprio là dove si dovrebbe investire: nei servizi essenziali, come l’assistenza domiciliare, che rappresenta un presidio fondamentale per le fasce più fragili della popolazione. Il ruolo del sindacato, in questo contesto, è quello di dare voce a chi non viene ascoltato, di denunciare pubblicamente i tagli ingiustificati e di proporre soluzioni concrete. Tutti osannano l’assessore al ramo, candidata “In pectore” a sindaco – Dio ce ne scampi! Onestamente, non riesco a immaginare una persona meno adatta a ricoprire quel ruolo.
Che consiglio darebbe ad una persona in difficoltà che non sa a chi rivolgersi o si sente sola di fronte ai suoi problemi?
Ogni situazione di difficoltà è unica, e proprio per questo non esistono ricette universali o risposte semplici. Tuttavia, c’è un messaggio che mi sento di rivolgere a chiunque stia vivendo un momento di smarrimento o solitudine: non siete soli, e non lo sarete mai. Anche quando tutto sembra perduto, c’è sempre una rete di persone, istituzioni e realtà associative pronte ad ascoltare, a tendere una mano, a offrire un supporto concreto. Il primo passo, spesso il più difficile, è proprio quello di chiedere aiuto. Ma nessuna richiesta sincera cade mai nel vuoto.
Durante il suo mandato da assessore, come è stata affrontata la questione del debito comunale, che oggi ammonterebbe a circa 30 milioni di euro? Ritiene che si potesse agire diversamente per contenerlo?
In quegli anni, prima dell’amministrazione Mellone, abbiamo attraversato un periodo molto difficile. Noi assessori e i consiglieri di maggioranza ci siamo assunti grandi responsabilità per cercare di risanare le casse comunali. Ricordo ancora che, per la delega al Commercio – a me molto cara – avevamo risorse risicate, appena 5.000 euro per tutto l’anno 2011. Eppure riuscimmo a spostare l’area mercatale, dando finalmente respiro a un quartiere e ad una situazione caotica e insostenibile.
Quali sono, secondo lei, le principali cause dell’indebitamento così elevato del Comune?
Uno spreco inaudito di risorse. Soldi letteralmente buttati al vento, senza una visione d’insieme né una strategia a lungo termine. Basti pensare, ad esempio, al progetto fallimentare degli idrovolanti o alla famigerata fontana che spruzza acqua potabile: in un territorio come il nostro, dove la siccità è ormai una realtà costante e preoccupante, sprecare acqua pubblica in modo così plateale è un insulto ai cittadini e all’ambiente. Il problema è più ampio e affonda le radici nelle difficoltà storiche che affliggono tanti comuni del Sud Italia: mancanza di investimenti strutturali, gestione spesso improvvisata, clientelismo, incapacità di intercettare fondi europei o, quando ci si riesce, una gestione inefficiente degli stessi. A tutto questo si aggiunge un approccio alla spesa pubblica che spesso confonde la visibilità con l’utilità, privilegiando opere di facciata invece di intervenire seriamente su servizi essenziali e infrastrutture. E così il debito cresce, e chi ne paga le conseguenze sono sempre i cittadini.
La demolizione della Dag Hammarskjöld, una scuola storica, la sua sostituzione con un parcheggio e la costruzione del nuovo edificio scolastico in zona 167 hanno suscitato molte polemiche. Come valuta oggi questa scelta urbanistica e politica?
È stata, a mio avviso, una scelta profondamente sbagliata, se non addirittura miope. La Dag Hammarskjöld non è solo un edificio scolastico: rappresenta un pezzo importante della memoria collettiva della nostra comunità, un punto di riferimento per intere generazioni. Si poteva – e si doveva – fare una valutazione più razionale e lungimirante: ad esempio, demolire e ricostruire il Secondo Nucleo, molto più degradato e meno funzionale, lasciando intatto un edificio che era stato oggetto di ristrutturazioni recenti e che era ancora pienamente utilizzabile. Ma ciò che mi preoccupa ancora di più sono le ricadute economiche e sociali: attorno alla vecchia scuola gravita un tessuto di piccoli commercianti, cartolerie, bar, tabacchi, che trae linfa vitale dalla presenza quotidiana di studenti, famiglie e personale scolastico. Ora rischiano un crollo nei guadagni. E in un contesto economico già fragile come quello del Sud, questi colpi possono diventare irreversibili.
Sul piano urbanistico, poi, la nuova scuola sorge in una zona – la 167 – già congestionata, con poco verde, poche vie di fuga e una viabilità difficile. Una scuola dovrebbe vivere nel cuore della città, non essere relegata in periferia, quasi fosse un ingombro da spostare altrove.
E infine, lo ribadisco con forza: nella cultura e per la cultura non si demolisce mai. La cultura si tutela, si conserva, si rinnova, ma non si cancella. È evidente che chi ha preso questa decisione non ha vissuto la scuola, non ne ha compreso il valore simbolico.
Forse è anche per questo che non può cogliere appieno ciò che si è perso.
Molti cittadini lamentano che la nuova scuola sia “soffocata” tra le palazzine e manchi di spazi adeguati. Era davvero l’unica opzione possibile?
Sinceramente, credo che si potesse e si dovesse fare di più in fase progettuale e soprattutto in fase decisionale. La scuola è un luogo fondamentale di crescita, non solo culturale ma anche umana: dovrebbe offrire spazi aperti, verde, luce naturale e un contesto accogliente. Costruire un edificio scolastico circondato da palazzine, senza aree verdi e con spazi angusti, significa non avere una visione pedagogica moderna e sostenibile. Non posso credere che fosse davvero l’unica opzione disponibile. Spostare una scuola significa ridisegnare una parte di città e andava fatto con maggiore attenzione all’ambiente urbano, alla qualità della vita e al benessere degli studenti e del personale scolastico. Ai genitori, comprensibilmente preoccupati, non posso che dire: continueremo a vigilare e a sollecitare interventi migliorativi, perché il diritto allo studio passa anche dalla qualità degli spazi in cui si apprende.
La notizia dell'ultima inchiesta giudiziaria che ha visto il coinvolgimento dell’assessore Delli Noci e le sue dimissioni ha suscitato un grande clamore. Cosa ne pensa?
L’affidabilità vera o presunta di un esponente politico la si misura con le sue scelte. Credo che sia doveroso, innanzitutto, avere rispetto per il lavoro della magistratura e lasciare che la giustizia faccia il suo corso senza strumentalizzazioni. Allo stesso tempo, è fondamentale mantenere equilibrio e senso critico, evitando sia i processi sommari sui social, sia le difese d’ufficio pregiudiziali. Se verranno accertate responsabilità, è giusto che ognuno ne risponda in modo trasparente, soprattutto chi ha avuto o ha ruoli pubblici. Ma bisogna evitare di trasformare ogni inchiesta in un’occasione di scontro politico: in gioco c’è la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.
In questa città uno dei problemi più sentiti è quello relativo alla mancanza di lavoro. Spesso una raccomandazione o una segnalazione per assumere qualcuno, anche ad esempio in un supermercato, diventa non solo frequente ma indispensabile. Cosa ne pensa?
Purtroppo, quando la disoccupazione è alta e le opportunità scarse, come accade spesso nel nostro territorio, si crea un terreno fertile per dinamiche distorte come quella delle raccomandazioni. È un meccanismo che si autoalimenta: più è difficile accedere al lavoro in modo trasparente e meritocratico, più le persone si sentono costrette a “chiedere un favore” per avere una possibilità. Comprendo perfettamente il disagio e la frustrazione di chi, pur avendo competenze e volontà, si sente escluso da un sistema che non sempre premia il merito. Ma è proprio da qui che bisogna ripartire: da una politica del lavoro seria, trasparente, che metta al centro le persone, le loro competenze e la loro dignità. Le istituzioni, i sindacati, ma anche i cittadini devono lavorare insieme per ricostruire fiducia e creare occasioni vere, senza scorciatoie. Perché il lavoro è un diritto, non un privilegio da ottenere tramite conoscenze o segnalazioni.
Nardò pare una realtà disarticolata e senza alcun peso specifico sul piano politico, le prossime elezioni regionali potrebbero essere un banco di prova importante per riportare la nostra Città nella politica che conta?
È vero che negli ultimi anni Nardò ha spesso dato l’impressione di essere una realtà marginale nello scacchiere politico regionale, con un'influenza limitata sulle decisioni strategiche di più ampio respiro. Tuttavia, le prossime elezioni regionali possono rappresentare un’occasione significativa per invertire questa tendenza, a patto che le forze politiche e civiche del territorio riescano a presentarsi in modo coeso e credibile, puntando su candidati competenti e su una visione chiara per lo sviluppo della città. Se Nardò saprà proporsi come interlocutore serio e portatore di istanze concrete, allora potrà tornare ad avere un ruolo attivo nel contesto politico regionale. Diversamente, rischia di restare una voce debole e fuori dal coro.