Ci sono momenti in cui le parole di una società sportiva non sono semplici comunicati stampa, ma veri e propri gridi d’allarme. La decisione dei soci di HDL Nardò Basket di mettere il titolo sportivo a disposizione della città è uno di questi.
Dietro quelle frasi garbate, si cela una realtà brutale: l’abbandono, il senso di isolamento, il peso insostenibile di un sogno sportivo che, da solo, un gruppo di imprenditori non può più portare avanti. E non perché manchino la passione, la dedizione o la competenza — tutte qualità dimostrate sul campo, anche contro avversari infinitamente più strutturati — ma perché intorno c’è stato troppo silenzio.
Nardò è una città di quasi 30 mila abitanti, con una storia importante, una tifoseria calda e fedele, una tradizione sportiva viva. Ha avuto l’onore e la responsabilità di rappresentare il Sud Italia in un campionato nazionale di livello come la Serie A2 di basket. E lo ha fatto con orgoglio, pur tra mille difficoltà. Ma quando i conti non tornano, quando le istituzioni latitano, quando gli imprenditori locali si voltano dall’altra parte o si limitano al tifo da tastiera, allora ogni entusiasmo si spegne.
Non si può pretendere che pochi, sempre gli stessi, si accollino spese enormi senza una rete di sostegno. In due anni, la proprietà ha fatto miracoli: ha salvato il titolo, ha gestito due stagioni difficili, ha regalato visibilità alla città, ha portato Nardò nei palazzetti dei giganti della pallacanestro italiana. E oggi, senza chiedere un euro in cambio, offre a Nardò un’opportunità: rilevare quel titolo e continuare a far vivere un patrimonio sportivo che appartiene a tutti.
Ma chi lo raccoglierà? C’è qualcuno disposto a rimboccarsi le maniche o si continuerà a guardare in silenzio?
E la politica? Dov’è? Dove sono le istituzioni locali e regionali?
Da troppo tempo lo sport in Italia, specie quello che non ruota attorno al calcio delle grandi metropoli, è lasciato alla buona volontà di pochi. Ma una città come Nardò non può e non deve vivere di solitudine sportiva. Servono politiche di sostegno vere, durature, concrete. Servono risorse, incentivi per chi investe nello sport, semplificazioni burocratiche, strutture adeguate. Ma soprattutto, serve visione. La visione di chi capisce che lo sport non è un lusso, ma un diritto e un volano sociale ed economico.
Il basket, a Nardò, è stato per due anni uno strumento di identità, di comunità, di orgoglio. Non si può accettare che finisca tutto perché “non ce la si fa più da soli”. Non è accettabile. Se ciò accade, è una sconfitta per tutti. E a quel punto la politica dovrà prendersi le sue responsabilità, pubblicamente.
Perché la Serie A — come ogni traguardo sportivo — va meritata, ma deve essere messa nelle condizioni di essere raggiunta e mantenuta. Non può diventare una montagna invalicabile per chi non ha alle spalle milioni o padrini istituzionali.
Questa è la grande questione del nostro sport di provincia. Questa è la battaglia che va combattuta ora. Con coraggio, con proposte, con investimenti. E con una presenza concreta da parte della politica e delle forze economiche locali.
Perché il titolo sportivo del Nardò Basket è molto più di un foglio federale. È un pezzo di identità collettiva. E lasciarlo cadere nel silenzio sarebbe un peccato imperdonabile. Signor sindaco ci dica Lei, al netto della solita propaganda, se la sua Nardò vale un torneo dilettantistico o la serie Nazionale!
Marco Marinaci