Idrovolanti nel giardino della memoria, Congedo: "Riflettere prima di provocare un danno all’immagine della città di Nardò, Medaglia d’oro al Merito civile della Presidenza della Repubblica grazie anche alla testimonianza di Weisz"

La settimana scorsa il Comune di Nardò ha annunciato un concorso di idee per riqualificare il Giardino della Memoria e dell’Accoglienza di Santa Maria al Bagno. La notizia qui https://www.comune.nardo.le.it/it/news/un-concorso-di-idee-per-valorizzare-il-giardino-della-memoria.

 

Come presidente p.t.del Comitato di Santa Maria a difesa della marina e del giardino della Memoria, sono e siamo rimasti sorpresi dalla tempistica. Due giorni prima (22.02.22) è stato depositato al Consiglio di Stato il nostro ricorso avverso la sentenza di primo grado del TAR per la Puglia, sez. di Lecce, con cui di fatto la Corte amministrativa aveva ritenuto di non potere sindacare la scelta operata dal Comune di Nardò di installare un terminal di idrovolanti nella parte sud del Giardino dedicato ai sopravvissuti della Shoah, per 400 metri quadrati su 2000, in pieno centro abitato, su costa frequentatissima nel periodo estivo.

Seneca scrive in una meravigliosa lettera a Lucilio che il più grande bene dell’uomo è il suo tempo. Una volta speso non può più essere restituito; esso è l’unico bene che non ha prezzo e una volta speso non può essere riacquistato.Per dieci anni, all’alba, con il mio anziano padre, odierno ricorrente al Consiglio di Stato, abbiamo dedicato una porzione delle nostre vacanze estive in Salento a piantare qualche centinaio di piante in quello che era uno sterrato sterile, ex parcheggio abusivo, come tanti lungo tutta la costa salentina. Con l’idea di ricordare i sopravvissuti di religione ebraica e i partigiani jugoslavi che soggiornarono a Santa Maria anche nella casa del mio bisnonno, a decine. Per riportare la vita in una terra morta, abbandonata, spianata da migliaia di automobili nell’arco di almeno tre decenni. Fino a quella ordinanza lungimirante del governatore Vendola del 2008 che vietò il parcheggio al di là della strada litoranea. Riportare la Natura dove per quattro decenni essa era stata annientata. In terra a rischio di desertificazione, come risulta dalle mappe dell’International Panel on ClimateChangeche nessuno sembra conoscere, né a livello comunale, né a livello regionale.

Considerando il bene del tempo come non recuperabile, mi è apparso quantomeno singolare che la lunga nota di accompagnamento del Concorso di idee non abbia minimamente menzionato almeno il mio anziano padre, testimone oculare degli ebrei alloggiati nelle case di suo nonno tra il 1943 e il 1947.Il donante del proprio tempo per quella Comunità cui ci lega un secolo di vicende. La persona che ha ospitato per la prima volta OttfriedWeisz nel 2004, la persona cui dedicammo la prima agave nel nascente Giardino della Memoria a pochi mesi dalla sua scomparsa.

E a fortiori chi, come il sottoscritto,ha contribuito per più di due decenni a trovare documenti anglo-americani, a Londra e a Washington, sui rifugiati che giunsero a Santa Maria. La prima persona ad aver interagito non solo con i Weisz, ma anche con Samuel e Goerti Goetz, quel Samuel co-fondatore dell’Holocaust Museum di Los Angeles, sopravvissuto anch’egli all’Olocausto e al campo di concentramento di Auschwitz, giunto a Santa Maria nel 1945.Strana omissione, ma forse non così casuale per un’Amministrazione guidata da chi, fino a poco prima delle elezioni del 2016, apparteneva a gruppi politici di destra che poca dimestichezza devono aver avuto, prima della conversione alla sinistra emilianea del periodo 2016-2022, con l’attività svolta dal sottoscritto: un mezzo salentino di origine che ha insegnato per anni diritto internazionale a Cambridge, che ha raccolto prove e testimonianze sull’Olocausto, ha persino tradotto per quel Comune ben 300 pagine dell’epistolario dell’agente UNRRA Gerber a sua moglie. Ha fatto pervenire oggetti custoditi nel Museo della Memoria. Ha persino ottenuto la promessa di donazione ai Neretini del busto dello stesso agente UNRRA Gerber, custodita nel Sud Dakota. Ha portato in visita professori di rango mondiale al museo della Memoria. Ha materialmente donato o fatto donare piante e palme washingtonian a memoria di quel periodo formidabile della Storia mondiale passato da quel villaggio di pescatori. 

Ecco perché nonostante non abbia reagito pubblicamente agli insulti dell’agosto 2020, né alla sentenza del TAR con il semaforo verde, né abbia reagito a quelle ruspe mandate all’alba del giorno dopo le elezioni nel Giardino della Memoria (nonostante le promesse all’UCEI e al Rettore dell’Università del Salento che “il Giardino non sarebbe stato toccato”), forse a fronte di questa “dimenticanza del tempo altrui” ritenga che un paio di parole oggi debbano essere spese. Non per il mio tempo, ma per il tempo di tante brave persone che in questi due anni hanno combattuto per salvare il Giardino così com’è. E per quell’amico indimenticabile, il viennese Fredy Weisz, che il Comune di Nardò intende solo oggi ricordare con un concorso di idee, ma la cui famiglia non è stata ancora (né mai) interpellata in questi quasi ultimi dieci (e più) anni. 

Perché stanziare ben 100,000 euro in un villaggio con rete fognante da completare, con ampie aree costiere completamente abbandonate, con strade senza asfalto nelle aree di recente e disordinata edificazione? Il Giardino già c’è. Ha bisogno da due anni di una pulita e di un consolidamento dell’esistente. Perché una simile, sproporzionata, prova di munificenza? Ma soprattutto, perché proprio lì il Terminal di idrovolanti? Perché nessuno di noi è stato coinvolto nel procedimento amministrativo fin dal suo principio? Perché è mancata qualsiasi notizia sulla Conferenza dei Servizi, di cui abbiamo avuto contezza a pochi giorni dalla fine? Di questo si occuperà il Consiglio di Stato. Ma delle altre domande chiediamo risposta al Comune.

Noi possiamo dire che a partire dal 2010 il Giardino è stato ripulito dall'immondizia abusivamente accumulatasi negli anni; l’area è stata già riqualificata e restituita alla propria dignità storica (il luogo dove mio padre ricorda giocare a calcio i ragazzi sopravvissuti alla Shoah), arricchita con piante autoctone e no, diventando un luogo di raccoglimento, silenzio e custodia della memoria di quel periodo post-bellico. Tutti aspetti, questi, centrali anche nel succitato bando di gara.Le suddette azioni di riqualificazione, spontanee e poste in essere da due privati con l’aiuto di una manciata di persone, sono state poste in essere come gesto di spontanea liberalità, non essendovi altro interesse da parte dei donanti se non quello di onorare la memoria delle vittime della Shoah e dei sopravvissuti giunti in quel luogo. Già nelle prime lettere al Demanio dello Stato è chiarito “che nulla si avrà a pretendere” in cambio della donazione. Ma è troppo pretendere il rispetto della stessa donazione? Può una donazione sopravvivere alla scelta di collocarvi un terminal di idrovolanti, dopo 10 anni senza che una sola goccia d’acqua sia mai stata versata dal Comune? Senza una menzione, ancorché ben due delibere comunali abbiano fatto propria, del Comune, la donazione? Può sopravvivere una donazione a due anni di dicerie sparse sul posto quale l’(impossibile) usucapione di area demaniale, l’abusività del sito e persino l’interesse a preservare la vista sullo Ionio?

Tale donazione al Comune di Nardò presupponeva o,dovremmo dire, dava per scontato (secondo criteri di buon senso), un mero impegno di cura e mantenimento dello stato dei luoghi.

Al contrario, quel luogo, nonostante la forza prodigiosa della Natura che, in inverno, trasforma quello sterrato sterile in distesa erbosa dove sono tornati aironi bianchi reali e cormorani e centinaia di passeri, è rimasto ora per due lunghi anni abbandonato al declino e al degrado, culminato nella eradicazione delle (prime) piante il 5 ottobre ultimo scorso, senza che per esse fosse disposta una diversa collocazione, interpellando eventualmente gli stessi donanti, o il Comitato di Santa Maria al Bagno, al fine di concordare una soluzione idonea e rispettosa della natura e  di quanto piantato nel Giardino della Memoria. Sarebbe bastato interagire con i donanti, e le piante già distrutte avrebbero avuto accoglienza in orti botanici che avevamo già contattato e che avevano dato la loro disponibilità al salvataggio. Dove sono finite le agavi ventennali? Dove sono finiti i lentischi e i pini d’Aleppo? Strappati e sepolti da due caterpillar.Nella cultura ebraica, piantare un albero vuol dire generare una vita dove molte sono state perdute, onorando la memoria dei Giusti e di quanti hanno patito l'orrore della persecuzione, al fine di guidare le giovani generazioni verso una consapevolezza dei valori democratici conquistati in quegli anni.

Rivolgere queste precisazioni ad una Stazione Appaltante (il Comune di Nardò), che dovrebbe per sua stessa natura istituzionale avere cura dell'ambiente in tutti i suoi aspetti, soprattutto in luoghi destinati alla memoria di pagine indelebili della storia dell'umanità, suscita sconcerto e meraviglia. In primis, perché si tratta di principi e valori posti alla base della cultura giuridica contemporanea, universalmente riconosciuti. In secundis, perché il bando de quo si configura quale ammissione piuttosto esplicita, da parte del Comune di Nardò, di non aver saputo porre in essere quelle semplici e poco costose operazioni di banale manutenzione di quanto ricevuto a titolo gratuito: rispetto ad esse, si è preferito consentire un progressivo degrado del Giardino della Memoria per arrivare,dopo dodici anni, ad indire  una procedura concorsuale,  con uno stanziamento considerevole di fondi e l'ulteriore dispendio di risorse connesse a tutti gli aspetti burocratici.  Laddove una manciata di privati, gratuitamente (per il Comune e per i Contribuenti), erano riusciti a dimostrare che la sola buona volontà può trasformare uno sfacelo ambientale in parco costiero.È,dunque, doveroso sottolineare la contraddittorietà di questa ennesima scelta, oltre quella di installare una stazione di idrovolanti al centro di un villaggio che in estate a migliaia di bagnanti e turisti.

Chiediamo alla Stazione Appaltante, al Comune di Nardò, se a proprio giudizio la cura di un luogo debba dipendere da ingenti fondi pubblici, o se piuttosto sarebbe stato sufficiente sostenere l’iniziativa privata già posta in essere con minimi accorgimenti: evitando di scegliere quel luogo per installare la stazione di idrovolanti; coinvolgendo eventualmente i donanti nel procedimento amministrativo ‘idrovolanti’ fin dal suo nascere; curando aiuole e piante; recintando adeguatamente l’area; preservando le lapidi di marmo oggi scolorite dal sole. Continuando a svolgere, in questi ultimi due anni, la cerimonia della Giornata della Memoria che per 8 anni, dal giorno della ripiantumazione post distruzione ad opera di anonimi barbari della Memoria, era stata bene o male rispettata.

Un altro punto dolente è rappresentato dal proposito, esplicitato nel bando,di "rammendare" il Giardino della Memoria per unirlo al costruendo terminal per gli idrovolanti, locuzione che ammette, in buona sostanza, che si tratti di stoffe diverse e di difficile conciliazione.

Non si desidera sminuire l'utilità di una stazione di idrovolanti, comunque rischiosa in un'area destinata alla balneazione. È doveroso, tuttavia, chiedere come sia possibile conciliare un luogo di meditazione, raccoglimento e riflessione con uno spazio (interno alla stessa particella catastale destinata a Giardino della Memoria) che a breve sarà destinato al transito di persone e all'atterraggio degli apparecchi, con prevedibile inquinamento acustica e da benzene (come segnalato nel ricorso al Consiglio di Stato).

Chiediamo se questo compromesso tra valore simbolico-storico e utilità di un servizio già rivelatosi insostenibile a Giulianova d’Abruzzo solo pochi anni fa (a fronte di ben 600,000 euro in fondi comunitari), sia stato correttamente immaginato dalla Stazione Appaltante o se si sia sottovalutata l'eterogeneità della natura degli spazi abbinati, probabilmente auspicando che uno dei due venga, presto o tardi, sacrificato. In tale ultima ipotesi, ci auguriamo che l’anelito alla modernità ad ogni costo,realizzabile su una qualsiasi parte dei 20km di costa, non sia preponderante rispetto alla tutela di un luogo ricco di simboli, ambientali e storici, unico non solo in quel tratto costiero (non esiste nelle aree urbane un’altra area così intensamente piantumata con piante autoctone, con diversi ginepri fenici e macrocarpa, fillirea e lentischi, come solo nel Parco di Porto Selvaggio si possono rinvenire …) ma, addirittura, in Italia: non esiste infatti un altro parco dedicato ai sopravvissuti della Shoah. 

Questo porta all’altra domanda: perché modificarne l’intestazione, dedicandolo all’amico Vittorio Perrone scomparso l’anno scorso, persona nobile e mite che non avrebbe mai voluto veder dedicare quell’area a se stesso visto che egli stesso aveva piantato un pino (presto seccatosi) a ricordo dei sopravvissuti della Shoah che aveva conosciuto in gioventù?

Per il futuro, auspichiamo una più intensa cooperazione tra il Comune di Nardò e il Comitato scrivente, oseremmo dire un "rammendo" di quella lacerazione provocata dalla trascuratezza con cui sono state eradicate le prime delle oltre 200 piante donate al Demanio e al Comune fino a pochi anni fa per dieci lunghi anni, senza nulla pretendere in cambio. Ricevendo, al contrario, pubblici insulti nell’agosto 2020 che ancora si evincono, con eco lontana, nello stesso bando del concorso di idee (quando si parla di degrado, abbandono e di necessità di riqualificare un bene donato!). Insulti per i quali non una parola di scuse è mai pervenuta.L'unico obbligo morale per il donatario era strettamente connesso alla tutela non solo delle piante in quanto tali, ma del luogo considerato nella sua interezza, indivisibile nel suo valore storico e morale di luogo dedicato a ricordare le migliaia di uomini, donne e ragazzi, sopravvissuti alla Shoah, che transitarono da Santa Maria nel 1943/47. Luogo composto dalla terra e da ciò che in essa era stato piantato gratuitamente, dalla identità del contesto, prospiciente le case dove soggiornarono quelle migliaia di uomini, incompatibile con altre destinazioni di servizio. Un luogo che poteva essere unico, nella sua originaria conformazione, in tutta la Puglia e forse in Italia (non ci risultano altri giardini a memoria dei rifugiati dei vari DP Camp italiani dell’UNRRA, ai quali è stato dedicato da ben due delibere comunali, del 2012 e 2019).

Il Comitato di Santa Maria al Bagno resta fermo nel proposito di tutelare il valore storico, culturale e paesaggistico del Giardino della Memoria nella consapevolezza che tra le priorità di una società civile spicca la conservazione di quei luoghi dove l'inviolabilità della vita,contro ogni discriminazione, è stata ribadita 77 anni fa con la sconfitta del nazi-fascismo, oggi purtroppo riaffiorante, sotto altre forme, proprio in queste ore in cui Kiev sta per essere invasa dalla forza bruta di un dittatore che ha finanziato in Europa decine di movimenti di estrema destra.

Riflettere prima di provocare un danno all’immagine della città di Nardò, Medaglia d’oro al Merito civile della Presidenza della Repubblica grazie anche alla testimonianza di Weisz, la cui famiglia ha pianto quando ha appreso della corrente, inspiegabile, vicenda.

Discuterne con il Comitato, con l’agenzia erede dell’UNRRA, l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’ONU, con i familiari di Weisz, con i familiari dei rifugiati con cui il Comune dovrebbe essere in contatto. Con i donanti, increduli di tanta ostinazione a rimodellare proprio quei 2000 metri quadrati, quando pochi metri più in là Santa Maria al Bagno è ferma a 50 anni fa, con ampi spazi completamente degradati e del tutto abbandonati.

Dare una risposta a tutti questi perché in un pubblico confronto mai avuto in due anni: questa è la democrazia del XXI secolo.

                                                                                                              Pierluigi Congedo, Ph.D.

                                                 Presidente p.t. Comitato di S.M. a difesa della marina e del Giardino della memoria

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