Esclusiva*, intervista al professor Pierluigi Congedo: ”Emiliano mi garantì che il giardino della Memoria non sarebbe stato toccato. E' un atto d’amore. A chi offre qualcosa, normalmente, si dice grazie”

Immaginiamo che possa esistere qualcuno che si prenda cura della nostra terra, e che lo faccia in maniera assolutamente disinteressata. Un atto d’amore, con cui prima ripulisce dai rifiuti un tratto di costa e poi vi realizza, a sue spese e nel corso degli anni, un magnifico e rigoglioso giardino.

Realizzato con colture scelte attentamente e nel rispetto della flora autoctona. Il giardino è dedicato alle vittime della Shoah e, nell’idea di questo benefattore, convintamente antifascista, avrebbe dovuto avere una funzione simbolica e pedagogica. A due passi dal museo della Memoria. Ad un certo punto della favola, dopo anni di amorevoli cure e sacrifici, immaginiamo che un sindaco decida, di imperio, di collocare proprio lì una stazione capolinea per un progetto che dovrebbe collegare Santa Maria a Corfù tramite idrovolante. Su 20 km di costa l’amministrazione sceglie, pari pari, il giardino della Memoria. Come se non bastasse, in una porzione di mare di 1000 m x 800 potranno atterrare gli idrovolanti, area ad uso promiscuo con il diporto e la balneazione (riservata alla fascia di 200 m adiacente alla linea costiera), da disciplinare in base all’art. 56 Codice della Navigazione. Cioè secondo tale progetto potremmo fare il bagno con gli idrovolanti che potranno decollare o atterrare, a piacere, direttamente sulle nostre teste. “Chiamale se vuoi emozioni”. Solo per i turisti che “sopravviveranno” un’esperienza subliminale unica! Ho scoperto che “l’omino” esiste e che non è un elfo dei boschi ma un docente universitario. Pierluigi Congedo, classe ’67, un phd (Un dottorato di ricerca n.d.r.) dal King’s college di Londra. Ha insegnato a Cambridge come professore associato prima di passare alla Luiss a Roma, dove insegna diritto privato e protezione dei dati personali. Una passione per la montagna nel dna ereditata dal bisnonno alpinista. E un amore viscerale per il mare di Santa Maria Al Bagno e per questo lembo di terra. E’ anche avvocato dell’ordine degli avvocati d’Inghilterra e Galles. Presiede un comitato civico che ha impugnato gli atti amministrativi relativi al progetto degli idrovolanti sul quale l’amministrazione del sindaco Pippi Mellone punta, a Santa Maria Al Bagno, per incrementare il turismo. Ed io ho deciso di intervistarlo per amore di verità. Cominciamo dall’inizio, professore mi spiega perché ha deciso di impugnare tale decisione?

Grazie della domanda. Apprezzo molto che un giornalista del posto si sia chiesto come mai un mezzo salentino (per l’altra metà trentino) residente a Londra, in vacanza a Santa Maria circa 15 giorni di media all’anno, abbia deciso di impugnare la determina dirigenziale del 30.11.2020 che approva il progetto di creazione di terminal per idrovolanti da installare nella metà sud del Giardino della Memoria e dell’Accoglienza di Santa Maria, di fatto impegnandosi in una lotta difficile lontano dai suoi centri di interesse: Roma, dove insegna diritto privato europeo alla LUSS Guido Carli, e a Londra, dove è solicitor (avvocato) e Fellow del King’s College.

La decisione di impugnare è nata dal desiderio di preservare il centro di Santa Maria al Bagno integro nella sua bellezza attuale, come attesta questa fotografia scattata a febbraio scorso. Non c’è motivo di asportare, spostare, cancellare quel poco di verde che con enorme difficoltà siamo riusciti a portare senza alcun aiuto materiale o economico dallo Stato o dal Comune di Nardò: una sfalciata d’erba una volta all’anno, non acqua, non manutenzione. Attualmente sono tornati i cormorani nella penisola di fronte al Giardino della Memoria, e stanno crescendo piante autoctone non presenti se non all’interno della riserva di Porto Selvaggio. Ginepri e altre piante presi in concessione dal vivaio regionale dieci anni fa, a spese dei donanti, o palme washingtonian donate da professori inglesi, che chi ha redatto il progetto per stazione di idrovolanti ha volutamente definito “pinastri di scarso valore”.

Ma soprattutto per tutelare un luogo che fin dalla nascita si voleva collegare al passaggio da Santa Maria della grande storia, quella della migrazione dei sopravvissuti dell’Olocausto nel 1945 e dell’arrivo nella nostra marina quale DP Camp n. 34, Displaced Persons camp creato dall’UNRRA (United Nations Relief and Rehabilitation Administration) dagli Alleati dopo la conferenza di Washington del 1943. Primo nucleo di quelle che sarebbero diventate le Nazioni Unite (Conferenza di San Francisco dell’aprile 1945) alla fine della guerra, con cambiamento di nome in IRO (International Refugees Organization) e, oggi, Alto Commissariato per i rifugiati (UNHCR),

Luogo di riflessione in uno Stato che oggi vede le nuove generazioni dimenticare i valori fondanti della nostra Repubblica e della stessa Unione europea: un’entità i cui principi sono stati scritti nelle baracche dei campi di concentramento e di prigionia nazi-fascisti. Ogni goccia di sangue ha fatto inserire un articolo 1 della Carta di Nizza: “La dignità dell’uomo è inviolabile”. Questo è il motivo che mi ha spinto ad intervenire così pesantemente a difendere un piccolo fazzoletto di terra già demaniale (che il mio bisnonno, un industriale di Galatone, aveva preso in concessione durante la guerra e dove vi faceva piantare angurie…) e che per decenni è stato parcheggio abusivo a ridosso della scogliera, campo di camper, immondezzaio occasionale di laterizi e ferraglia, e ora paradiso terrestre.

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Il Giardino della Memoria e dell’Accoglienza a febbraio 2021 (definito “campo di zanguni [cicoria] e paparina [papaveri]” da ignoti via Instagram durante la Conferenza dei Servizi, ottobre 2020, e riportato ironicamente dai social).

Colgo questa occasione per ricordare che il Giardino della Memoria nasce come atto di donazione al Demanio dello Stato con regolari comunicazioni scritte (informandone, per conoscenza, il Commissario prefettizio di Nardò del 2010, nonché l’ufficio Demanio del Comune di Nardò e URP, in quanto il Comune era concessionario dell’area, lasciata incolta e sterile per decenni) di un certo numero di piante fin dal settembre-ottobre 2010, a pochi mesi dalla scomparsa di Ottfried Weisz, un cittadino americano di Boston nato a Vienna nel 1930. Un sopravvissuto dell’Olocausto che avevo rintracciato in America nel 1999 grazie ad una preziosa email inviata a Santa Maria ad un amico che me l’aveva sottoposta, in cui menzionava la casa dove aveva vissuto nel 1945.

L’email, ancora oggi disponibile e da offrire al Museo della Memoria a futura memoria, parla di uno “spray”, soffione, di acqua marina sulla scogliera di fronte alla casa dove era giunto all’indomani della fine della Seconda guerra mondiale, portato dalla Croce Rossa internazionale da Livorno Ferraris (Vercelli), il luogo dove era stato nascosto per due anni dopo essere stato separato nel dicembre 1943 dai genitori e dalla sorella, rastrellati dai nazi-fascisti, uccisi nel febbraio 1944 ad Auschwitz, all’arrivo al campo di concentramento, dopo essere partiti con altre migliaia di ebrei italiani dal tristemente famoso “binario 21” della stazione centrale di Milano (il luogo oggi sede del museo della Shoah da cui partì anche la senatrice Liliana Segre con suo padre).

Dal momento che di fronte alla casa dei miei bisnonni, tra la casa e il mare, mio padre fin da bambino mi aveva mostrato il “soffione del principe”, avevo cercato di comunicare con Ottfried via telefono dal mio studio di Milano, chiamando il numero sull’intestazione del fax. Lo trovai facilmente al secondo o terzo tentativo. Gli mandai la foto, via fax, della casa dei miei bisnonni, e lui mi richiamò piangendo per dirmi di aver riconosciuto il primo posto dove era giunto a Santa Maria nel 1945 (tra parentesi, il pontile del terminal di idrovolanti sarà installato proprio su quel soffione).

Poche settimane dopo Weisz volò a Malpensa con sua moglie, Gennie per conoscermi. Mia madre salì da Roma per incontrarlo e può testimoniare, così come numerosi amici dell’epoca. Visitammo insieme Milano (i luoghi della sua giovinezza, dove i genitori avevano lavorato a servizio di ricche famiglie milanesi dopo essere fuggiti da Vienna all’indomani dell’Anschluss del 1944), mi chiese ed ottenni di visitare il Cenacolo vinciano, il lago Maggiore (da dove molti ebrei furono deportati), l’area di Novara e di Vercelli, ultimo luogo del suo nascondiglio, presso un brefotrofio cattolico dove il carabiniere-eroe lo aveva consegnato facendolo scendere dal camion che portava i prigioni del carcere di San Vittore nel campo di raccolta (Livorno Ferraris).

Tra il 2000 e il 2002 vissi a Bruxelles e Roma. Nel 2004 mi chiede di poter visitare Santa Maria, io mi trovavo lì da Londra. Weiszvolò a Brindisi, per rivedere Santa Maria al Bagno, nostro ospite, dopo 60 anni.

Il vice sindaco Marcello Risi, figura chiave della cultura della Memoria insieme al sindaco Vaglio, ci ricevette al Comune di Nardò per conoscerlo.

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Con Ottfried Weisz nel settembre 2004 di fronte alla casa dove aveva soggiornato nel 1945 e nel 2004, ospite dell’attuale proprietario e “ospite” del suo bisnonno, commendatore Francesco Lanzillotto (casa requisita dagli Alleati).

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Settembre 2004, con Weisz alla casetta dei murales di Santa Maria al Bagno, dove Zivi Miller aveva dipinto i disegni a carboncino ora nel museo della Memoria e dell’Accoglienza.

Parlammo nelle scuole e a Telerama. Ho due filmati che voglio mettere a disposizione dell’Holocaustmuseum di Washington e dell’Al Vashem in Israele per la loro fototeca, del suo giornale e del Museo di Santa Maria al Bagno insieme al mio archivio che conta oltre 3000 fotografie di documenti trovati negli archivi di Londra e Washington nell’arco di 20 anni sul periodo dell’Olocausto, della guerra, dei rifugiati e della identificazione, creazione e gestione dei DP Camps nel Salento (molti documenti sono ancora inediti e possono gettare nuova luce sulle condizioni in cui versavano i sopravvissuti).

In questi filmati Ottfried, di fronte alle telecamere di Telerama e di un istituto tecnico di Galatone, racconta la sua tragica esperienza. Nasce un forte vincolo di amicizia, Freddy fa testimonianza dell’ospitalità ricevuta (l’anno successivo il Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, anche a fronte delle testimonianze di Jakob Ehrlich, amico di Ottfried in Florida, e di Samuel e Goerti Goetz, tutti sopravvissuti all’Olocausto e tutti ospiti a Santa Maria nel DP Camp n. 34, conferirà la medaglia d’oro al merito civile alla città di Nardò) e, soprattutto, mi parla del perdono che ha deciso di adottare come sua filosofia di vita nei confronti di chi aveva tentato di annientare la sua vita, senza riuscirci... Parole che spesso mi hanno fatto riflettereanche nei difficili mesi della lotta per salvare il Giardino della Memoria nel centro di Santa Maria al Bagno (specie in occasione delle frasi pesanti che ho subito sui social e persino dal sito istituzionale del Comune di Nardò), parole di perdono e di lungimiranza che mi hanno portato a decidere di ricorrere amministrativamente avverso la determina che approva l’installazione del terminal di idrovolanti finanziato con 500,000 euro dal programma UE SWAN 2014-2020 di collegamento della regione Puglia con Corfù mediante un sistema di collegamenti “leggeri” via mare.

La decisione di resistere (il termine è azzeccato vista la settimana a memoria dell’insurrezione di Milano…) ad una decisione amministrativa adottata apparentemente nel rispetto delle procedure formali (con conferenza dei servizi pubblicizzata sul sito del Comune solo dopo 25 giorni dall’inizio e a 35 giorni dalla fine, con comunicazione per tamtam della data di conclusione della stessa, senza postare sul sito del Comune la stessa convocazione, inviatami solo il 2 dicembre, a determina già adottata), ma punteggiata di punti interrogativi nel merito che ora il Consiglio di Stato o il TAR dovrà valutare.

Come, ad esempio, in base a quale istruttoria sia stato scelto proprio il Giardino della Memoria e proprio la parte più piantumata, e proprio i 50 metri antistanti la casa (che, appunto ospitò centinaia di ebrei e di familiari di partigiani jugoslavi liberati dai campi di prigionia nazi-fascisti) dei donanti del Giardino della Memoria, ossia mio padre, anziano colonnello di artiglieria in pensione, ed io.

In base ad un progetto che non riporta minimamente le foto del Giardino della Memoria se non da lontano e all’imbrunire. Che non menziona minimamente l’esistenza di ben due delibere comunali, del 2012 e 2019, di istituzione del Giardino con le motivazioni sopra ricordate.

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Ebrei e familiari di partigiani jugoslavi sulla scala della palazzina Lanzillotto oggi Congedo a Santa Maria al Bagno (1943-1947), prospiciente il Giardino della Memoria.

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Tracce di fuoco sul pavimento del soggiorno della casa del donante risalenti al tempo dell’ospitalità data alle famiglie ebraiche di sopravvissuti e di partigiani jugoslavi. 

Lei avrebbe rinunciato alla richiesta di sospensione dei provvedimenti che autorizzano il progetto della idrosuperficie che aveva impugnato con un ricorso al Tar. Adesso cosa accadrà?

Purtroppo per un errore tecnico (sottovalutazione di una PEC del Comune che “trasmetteva atti”, laddove normalmente si usa il termine “notifica atti”, peraltro al termine di una conferenza dei servizi in cui io stesso non ero stato ammesso quale interveniente né quale donante del Giardino, né quale presidente pro tempore del Comitato a difesa della marina e del Giardino di santa Maria al Bagno, né quale proprietario…), abbiamo preferito lasciare in piedi il ricorso amministrativo di fronte al TAR, avviato il 14 febbraio 2021 (nei 60 giorni dal termine di pubblicazione della determina sull’albo pretorio del Comune) pur ritirando la richiesta di sospensiva.

Il primo ricorso è stato presentato sia a nome mio che a nome del Comitato di Santa Maria al Bagno a difesa della marina e del Giardino della Memoria (ONLUS), costituito a settembre scorso non appena siamo venuti a conoscenza dell’esistenza della conferenza dei servizi.

Il Comitato ha ricevuto numerose donazioni di privati per far fronte ai costi procedurali. Tanta gente comune ha aiutato, anche solo con la raccolta delle migliaia di firme, amici, parenti, professori italiani e inglesi, avvocati e professionisti italiani e salentini. Tra i supporter, anche l’amico principe Jonathan Doria Pamphilj il cui nonno, Filippo Andrea VI, nascose numerosi ebrei nel palazzo di Roma pendente l’occupazione nazista e la cui nonna ospitò gli Scout all’indomani dell’ingresso degli Americani a Roma, quegli Scout che nel 1945-47 aiutarono i sopravvissuti ebrei a installarsi a Santa Maria al Bagno (tra le tante organizzazioni umanitarie coinvolte, come la Croce Rossa Internazionale, etc). Famosa la lettera del 01.09.1939 del principe Doria al Re scongiurandolo di non entrare in guerra con la Germania hitleriana…

Inoltre, nei 120 giorni previsti, mio padre ha presentato un ulteriore ricorso, questa volta in forma non ordinaria bensì straordinaria, direttamente al Presidente della Repubblica. Si tratta di un residuo del periodo sabaudo e dello Statuto albertino, in cui era prevista la possibilità di ricorso eccezionale al Re detentore del potere di grazia sovrana (oggi residua sia sotto l’aspetto della grazia che sotto l’aspetto amministrativo). Strumento che si è dimostrato provvidenziale e che ha permesso appunto al mio anziano padre di ricorrere, a 84 anni, “per saltum” direttamente al Consiglio di Stato chiedendo ai Giudici amministrativi esattamente la stessa cosa contenuta nel ricorso originale: “come mai su 20 km di costa neretina è stato scelto proprio quel sito per installare la stazione di idrovolanti e, all’interno del sito “giardino della memoria”, proprio i 50 metri di fronte l’abitazione dei donanti”?

Ora il procedimento amministrativo dovrebbe tornare di fronte alla sua sede naturale, al TAR di Lecce, per riprendere la discussione dove era arrivata ai primi di marzo, quando, appunto, ritirammo la richiesta di sospensiva.

Quindi, tecnicamente, al momento attuale ci sono due ricorsi amministrativi ancora in piedi e confidiamo nei giudici che dovranno valutare da un lato il procedimento amministrativo seguito e, dall’altro, sia come è stata operata la scelta del sito considerando anche valori immateriali come quelli della memoria della Shoah e della tutela del paesaggio che sono alla base dei Trattati comunitari e della nostra costituzione repubblicana.

Mi dice da dove prende le mosse il giardino della Memoria e quale idea desidera valorizzare?

Come anticipato nella prima risposta, l’idea di Giardino della Memoria del 2010 nasce da una serie di coincidenze casuali avvenute in un breve periodo di tempo: il ritrovamento a Venice, Florida, di Ottfried Weisz nel 1999; la sua scomparsa proprio nella primavera nel 2010; le prime ricerche condotte in quel decennio per identificare il DP Camp n. 34 dell’UNRRA con certezza fin dal 2002 quando ne diedi comunicazione agli appassionati del posto (seguirono molte pubblicazioni sul tema); la chiusura al traffico veicolare dello sterrato sterile della particella 617 con ordinanza regionale e comunale fin dal 2008; le mie ricerche condotte a Londra negli archivi di Stato britannici relativi all’arrivo dei rifugiati a Santa Maria e le condizioni di vita che vi trovarono (nel ricercare questi documenti ho persino individuato un cable dell’ambasciatore britannico a Roma a Churchill che comunicava il contenuto di un incontro con Pio XII negli appartamenti papali in relazione al suo tentativo di salvare quante più vite umane possibili dopo i rastrellamenti nazisti degli ebrei romani, lettera che in copia donai nel 2019 al Vaticano e nel 2020 proprio al Museo della Memoria di Santa Maria al Bagno alla presenza del sindaco Mellone).

Si tenga presente che a Londra era molto sentito in quel decennio anche il discorso del cambio climatico e della lotta alla deforestazione. Avendo visitato nel gennaio 2009 la Costa Azzurra all’altezza di Cape Nègre, avevo osservato innovativi progetti di riforestazione della linea di costa con agavi e piante autoctone, con ciclabili e sentieri per le passeggiate nel verde. E avevo parlato proprio in quegli anni con i responsabili dell’urbanistica del comune di Nardò per chiedere perché non intervenissero per riqualificare il lungomare con un modello simile, anche considerando l’aumento della temperatura media del sito (la temperatura è una delle concause della moria di olivi insieme al fattore batterico costituito dalla Xylella fastidiosa).

Poi ci sono ragioni più remote: vengo da una famiglia che ha avuto molti esempi di antifascismo.

Il mio padrino della Cresima, già giovane ufficiale dei Granatieri, dopo il 1943 per lealtà al giuramento al Re passato al nord da Roma nella Repubblica di Salò, diventato frate francescano al termine della sua carriera militare, Gianfranco Chiti da Gignese, è l’unico ufficiale italiano che ha avuto un processo di beatificazione concluso positivamente nel 2019 per aver salvato numerosi partigiani ed ebrei nel 1944/45 nelle Langhe e in Emilia, sottraendoli alla esecuzione sommaria mediante lo stratagemma di arruolarli fittiziamente nelle fila della sua compagnia, come attestato dalle numerose testimonianze conservate nella Sinagoga centrale e nel Vescovado di Torino.

Documentazione confluita nel processo di beatificazione apertosi ad un anno dalla sua morte avvenuta ad Orvieto nel 2004. Attualmente presso l’Al Vashem è pendente il riconoscimento come Giusto di Israele. A lui devo moltissimo nella mia formazione fin dall’età di otto anni fino alle scelte universitarie e post-universitarie. Il mio stesso bisnonno, Raimondo Clementel, trentino, alpinista e guida alpina, aveva collaborato nel 1944/45 con la resistenza antinazista sulle montagne del Brenta e della Paganella, nascondendo un pilota americano caduto con il suo apparecchio sulla Paganella, Patrick Shereda. L’anziano insospettabile alpinista (all’epoca 68 enne) aveva condotto fino alla via per il Tonale e la Svizzera il giovane ufficiale americano paracadutatosi durante la caduta del suo bombardiere B-94 Liberator. Nel 2017, dopo aver trovato i documenti sul crash dell’aereo negli archivi militari americani, ho rintracciato a New York la figlia dell’ufficiale e tramite lei un sopravvissuto all’abbattimento dell’aereo da parte della contraerea tedesca, Lee Palser, aviatore nello stesso apparecchio, che in una lunga telefonata mi ha confermato la dinamica di quelle vicende rivelando i nomi dei giovani partigiani di allora (Bonatta, Pedrotti, Donini, Nicolussi, con la collaborazione di una figlia del direttore d’orchestra Mascagni) che erano nascosti alle pendici del Brenta, a circa 2000 metri di altitudine, con una radio a onde corte paracadutata dagli inglesi, con la quale riuscivano a comunicare con il Comando Alleato di stanza a Bari e fornire indicazioni preziose sulla circolazione dei treni militari in arrivo dalla Germania verso il fronte bellico italiano, e dei treni in provenienza dalla Penisola con, ad esempio, il famoso oro della banca d’Italia razziato dai nazisti, o con l’ancor più prezioso carico di vite umane di prigionieri ebrei, militari che non avevano aderito alla repubblica di Salò e dissidenti diretti verso i campi di concentramento nazisti.

Un altro zio di mia madre, a Merano, Luigi Negri, aveva a sua volta nascosto numerosi ebrei nella sua residenza a Castel Winkela Maia alta, e si dimise dalla presidenza del Piccolo Credito Meranese proprio all’indomani della adozione delle leggi razziali che imponevano la comunicazione dei nominativi dei dipendenti ebrei al governo (1938).

In questo contesto era per me naturale decidere di dedicare il prolungato sforzo estivo alla creazione di un giardino con piante donate da amici, anche inglesi, o provenienti da proprietà di famiglia, ripulendo prima il sito da una impressionante quantità di rottami e rifiuti di ogni tipo.

Azione che in qualsiasi altra parte d’Italia e d’Europa non avrebbe mai portato il Sindaco a denigrare il donante del proprio tempo estivo (normalmente destinato al riposo, visto che nel resto dell’anno esercito la professione di avvocato, di solicitor nel Regno Unito e di docente LUISS) oltre che delle piante, quanto piuttosto ad elogiare un’opera che voleva essere simbolica e pedagogica.

E qui si apre il discorso penoso di aver constatato che nessuno, nel Comune di Nardò di oggi, ha avuto il coraggio di testimoniare apertamente sull’origine di assoluta liberalità del Giardino, notificata fin da principio con numerose lettere (di cui custodisco copie ed email di accompagnamento), indirizzate anche al Commissario Prefettizio dell’epoca, ai dirigenti delle aree tecniche, contattati parallelamente all’Agenzia del Demanio di Lecce, il cui direttore anzi, nell’ottobre 2010, accolse con grande favore l’idea dicendo che era la prima volta che gli arrivava notizia di una offerta di piante per il Demanio.

E ripenso qui alla prima distruzione totale avvenuta ad opera di ignoti la notte del 6 novembre 2011, con offerta persino dell’allora leader di “Andare Oltre” Pippi Mellone di aiutare a ripiantumare il giardino devastato dai vandali.

E ricordo la successiva cerimonia organizzata dal Comune di Nardò nel gennaio 2012 di ricostituzione del Giardino (con tanto di targa che è oggi riprodotta fedelmente nella targa in marmo di Carrara fatta riapporre nel 2017), con ripiantumazione ad opera degli studenti dell’IDISU di Lecce, guidati dall’allora giovane presidente, Giacomo Cazzato, oggi sindaco di Tiggiano (dove ha avuto occasione di elogiare Helen Mirren per aver ripulito un tratto di costa orientale del Salento).

Inutile dire che tutte queste coincidenze e tutti questi episodi rafforzano la mia volontà di difendere a qualsiasi costo il Giardino della Memoria così com’è nato e anzi chiedo al Presidente della Regione Puglia, Emiliano, di far valere la promessa fatta ai primi di settembre 2020 quando garantì sui giornali che “il giardino non sarebbe stato toccato”. Abbiamo lanciato da allora una petizione on line tramite change.org e abbiamo raccolto quasi 2000 mila firme (tra sistema digitale e cartaceo) rivolta non solo al Governatore, ma anche al Presidente della Repubblica Mattarella, oltre che al Sindaco. Credo profondamente nel diritto ma anche nella libera informazione alla popolazione, e sono certo che da un lato la magistratura e, dall’altro, l’opinione pubblica, raggiungeranno conclusioni che potrebbero divergere dalle rassicurazioni di intangibilità del Giardino fatte dall’Amministrazione comunale e dal Capo di Gabinetto del Governatore pugliese anche alla Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, senza spiegare che in realtà circa un terzo dell’attuale area destinata a giardino (e maggiormente e da più tempo piantumata) verrà utilizzata per installare il terminal, lasciando quindi indenne la parte a nord, meno piantumata (anzi, un assessore aveva già suggerito due anni fa di togliere un po’ di piante).

Un gesto di equilibrio e di lungimiranza potrebbe essere quello di individuare rapidamente un’altra area su 20 km di costa per dare seguito al progetto e non perdere i fondi comunitari, anche se personalmente penso che non sia questo il progetto prioritario per il Comune di Nardò ad oggi ancora alle prese con il problema della rete fognante da completare nelle marine, ad esempio.

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Aiuola con targa commemorativa apposta dal Comune di Nardò il 26.01.2012 in occasione della Giornata della Memoria con cerimonia pubblica organizzata dallo staff del Comune, sostituita in marmo nel 2017.

Ritiene il fascismo un argomento che appartiene al passato o pensa che sia necessario tenere comunque alta la guardia?

Ritengo che l’Italia non sia mai completamente venuta a termini con il fascismo. Esso è stato inventato nel nostro Paese nel 1920-21 come strumento per catalizzare la rabbia di ampie fasce della popolazione impoverite all’indomani del primo conflitto mondiale e dell’epidemia di Spagnola, ad un passo dal ripetere in Italia quello che solo tre anni prima era avvenuto nella poverissima Russia zarista: la rivoluzione bolscevica. Un re decisamente incapace di prevedere le conseguenze affidò il governo a Mussolini all’indomani della marcia su Roma (1922), portando ad elezioni svoltesi in un clima di violenza e intimidazione (1924), con la soppressione di oppositori colti e liberali con Matteotti. Oggi la situazione di instabilità economica del nostro Paese, la manipolazione dei social media ad opera di persone pagate per diffondere false notizie, la vulnerabilità di giovani ed anziani che non comprendono i meccanismi mentali sfruttati dai cosiddetti “influencer”, ha già portato all’emersione di forti fenomeni di devianza democratica, portando allo stato di stallo del Parlamento in più di una occasione, non solo in Italia ma in altri Paesi a tradizione democratica (penso a quanto avvenuto di recente negli Stati Uniti in seguito alla vittoria elettorale dell’avvocato democratico Biden).

Siamo a ridosso del 25 aprile. Dovremmo avere chiare le origini democratiche della nostra Costituzione, scritta con il sangue di martiri imprigionati a via Tasso (penso qui al Colonnello Cordero Lanza di Montezemolo, cattolicoe partigiano, capo della resistenza di Roma nel 1944, ucciso alle Fosse Ardeatine, tra i tanti), o negli alpeggi degli Appennini e dell’arco alpino, o nelle pianure dalle Langhe all’Emilia, dalla Liguria al Friuli, ai martiri del Monte Sole e di Marzabotto, ai martiri toscani, campani, abruzzesi sulla Majella: il Sindaco potrebbe onorare il tricolore e la stessa medaglia d’oro al merito civile, ricevuta dal partigiano Carlo Azeglio Ciampi per la sua attività con il Partito d’Azione in Abruzzo, collocando il Terminal di idrovolanti lontano dal centro di un giardino nato con la funzione di ricordare proprio quel capitolo della storia mondiale, italiana e neretina.

Riteniamo la sensibilizzazione rispetto alla Shoah e al valore della memoria un percorso indispensabile. Come giudica rispetto a tali temi l’operato dell’attuale amministrazione?

Ritengo che l’attuale amministrazione di Nardò non abbia voluto minimamente tentare un dialogo con il donante, se si pensa che lo ha invitato alla cerimonia della Memoria da Londra (a sue spese) per comunicargli corampopulo che proprio in quel tratto di giardino era già stato adottato un progetto “esecutivo” di terminal di idrovolanti.

Se avesse voluto identificare un’area adeguata, rispettosa del paesaggio, della memoria e delle abitudini degli abitanti del posto e dei villeggianti, avrebbe potuto tranquillamente identificare un’altra area, su 20 km di costa.

Dopo cinque anni di totale abbandono del Giardino, senza aver mai portato un litro d’acqua, senza aver mai curato le piante, non credo che i proclami degli ultimi mesi possano rassicurare nessuno, anche quando si comunica all’Unione delle Comunità ebraiche che il “giardino verrà valorizzato”, laddove in primis la parte più bella del Giardino verrà smembrata per fare posto al Terminal di idrovolanti, mentre la parte residuale verrà eventualmente adibita ad appendice di sala servizi con solarium e docce, del tutto incompatibile con un luogo di riflessione, contemplazione, passeggiata per i neretini e i turisti, accesso libero alla scogliera come è stato per un secolo.

A questo si aggiunge la mancata interazione con la popolazione del posto. Pochissimi hanno visto il progetto postato ad un mese dall’inizio della conferenza dei servizi, a metà settembre (quando praticamente tutti i turisti erano già partiti) e, soprattutto, pochissimi hanno visto la tavola 7 allegata al progetto del Comune dopo le osservazioni sollevate dalla Capitaneria di Porto per identificare l’area specifica in cui gli idrovolanti dovrebbero ammarare, di oltre 800,000 mq, con un lato lungo di 1000 metri dalla Punta della Chiesa (distributore ENI) alla Reggia, e 800 metri di profondità verso il largo, a 200 metri dalla costa. Tavola che si riporta qui per comodità e che, per stessa spiegazione ricevuta dalla Capitaneria, riproduce lo spazio acqueo che sarà aperto anche agli sport nautici e alla balneazione (riservata invece nei 200 metri a ridosso della scogliera, salvo il tratto prospiciente il pontile di attracco degli idrovolanti che verrà ovviamente riservato alle sole operazioni di avvicinamento dei velivoli o della barca di carico e scarico).

Con l’ovvia recinzione della parte “aeroportuale” tra il Terminal, la pedana circostante, la passerella e il pontile, e la scogliera limitrofa (peraltro considerata a rischio geomorfologico PG2 e PG3 dopo modifica apportata al PAI nel 2015 volta a declassificare da PG3 a PG2 l’area dove un domani dovrebbe essere costruito il pontile). 

Se tutto questo è vero, ritengo che non sia nell’interesse di nessuna amministrazione adottare un progetto che non porterà benefici di lungo periodo alla popolazione locale, non solo in termini strettamente economici, ma anche in termini di salute, considerando la produzione di benzene (cancerogeno) da parte dei motori aeronautici al momento del decollo e ammaraggio degli idrovolanti, alla produzione di rumori (come già sperimentato in occasione dei “flight test” di luglio 2020), allo sconvolgimento di un’area dove ho dimostrato che poteva tornare la vegetazione autoctona e persino gli uccelli (ho le foto di cormorani in sosta sulla penisola di fronte al giardino durante lo scorso inverno).

Per concludere, un’amministrazione pubblica dovrebbe ascoltare la voce della popolazione (abbiamo raccolto circa 2000 firme on line e in cartaceo contro il progetto), interagisce con chi ha svolto un’operazione di qualificazione a costo zero per le amministrazioni (una donazione che oggi si aggira a qualche decina di migliaia di euro) e, soprattutto, pone il valore della Memoria e del paesaggio al di sopra dei profitti che possono derivare dai i fondi europei del progetto SWAN (500,000 euro), statali (circa 80,000 euro), o, indirettamente, mediante il transito di quei pochi turisti che possono permettersi il lusso di andare in idrovolante a Corfù o a Taranto…

Come mi ha insegnato Ottfried Weisz in occasione della sua visita a Santa Maria nel 2004, io perdono le persone che mi hanno pubblicamente accusato di aver piantato le agavi e i ginepri fenici per “preservare la vista mare” e anche i funzionari che hanno più volte chiamato il giardino della memoria “il cosiddetto giardino”, senza nemmeno essersi degnati di visitarlo o di interagire con i donanti per capirne l’origine e le motivazioni.

Allo stato la Presidente di Italia Nostra, Ebe Giacometti, promuoverà una istanza al ministro dei Beni Culturali Franceschini per chiedere un intervento risolutivo di vincolo per interesse culturale e paesaggistico dell’area. La Soprintendenza dei Beni Culturali di Lecce, nelle corpose risposte date a ridosso della conferenza dei servizi (postando addirittura immagini private dei donanti in nota di risposta alle osservazioni nella conferenza dei servizi del sottoscritto a co-firma con la Presidente di Italia Nostra …), sottolinea che non vede come si possa riconoscere la valenza culturale del sito e, quindi, la possibilità di vincolare l’area, perché mancherebbe la vetustà (almeno 70 anni) e il pre-requisito fondamentale della capacità di rappresentare la “trasmissione di generazione in generazione” del senso identitario determinato dal luogo (il giardino) in questione”.

Sembra surreale leggere che un’opera volta a preservare la memoria di un episodio storico ben preciso, ricordato da tutti gli anziani del luogo, vissuto in prima persona dal donante Bruno Congedo e dai suoi genitori e fratelli proprio nel periodo bellico (era un adolescente e con la famiglia dovette soggiornare per quattro anni in altra casa fuori dalla zona requisita destinata a campo profughi per lasciare la casa di famiglia ai profughi), noto alla generazione attuale per confronto diretto con i proprio nonni, e oggi a rischio di oblio per quelle successive, secondo la Soprintendente non avrebbe tale valenza trasmissiva.

Quanto al perché l’area andrebbe preservata così com’è, scegliendo una località meno antropizzata per un’attività impattante anche sulla balneazione (è previsto che l’area di ammaraggio degli idrovolanti sia all’interno di un rettangolo di 1000 m per 800 m, pari a 800,000 mq), si deve considerare lo sforzo che due sole persone hanno fatto per valorizzare, in maniera del tutto amatoriale, un’area che versava in stato di degrado assoluto (campeggio abusivo di camper), ricordando il passaggio degli ebrei e dei partigiani slavi per ben quattro anni come attestato sia dalle tracce di fuoco sul pavimento che da firme ritrovate sotto gli strati di vernice, o da una fotografia custodita dal neretino Paolo Pisacane che ha curato per anni la raccolta del materiale documentale sopravvissuto a quel periodo.

A chi offre qualcosa, normalmente, si dice grazie.

Non si insulta il gesto gratuito e, soprattutto, non si insulta la Memoria di un periodo storico vergognoso per un Paese che fu alleato dei Nazisti fino al 1943, che proprio quel gesto coraggioso, pesante, visibile, faticoso e altruistico intendeva preservare per le generazioni a venire.

Sito del Comitato di Santa Maria contro li terminal di idrovolanti

https://www.comitatosantamariacontroidrovolanti.com/

Facebook:

https://www.facebook.com/ComitatoControIdroscalo/posts/122333619944089?notif_id=1618555304412234&notif_t=page_post_reaction&ref=notif

Per sottoscrivere la petizione on line a difesa del Giardino della Memoria e della Marina di Santa Maria al Bagno:

https://www.change.org/p/difendiamo-il-giardino-a-memoria-del-d-p-camp-unrra-34-dagli-idrovolanti-let-s-defend-the-memorial-garden-of-the-unrra-d-p-camp-no-34-from-hydroplanes-english-text-below-per-la-tutela-del-giardino-della-memoria-e-dell-accoglienza?use_react=false

http://chng.it/YqRtLprNXW

Petizione a difesa e la ripiantumazione della Montagna Spaccata:

https://www.change.org/p/ai-sigg-sindaci-dei-comuni-di-galatone-e-sannicola-per-la-tutela-la-riqualificazione-area-s-i-c-montagna-spaccata-san-mauro

http://chng.it/KVJ4WmZpb5

Intervista a cura di Marco Marinaci

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