25 Aprile, le giuste ragioni per non dimenticare e per celebrare sempre la festa della Liberazione e della Resistenza (Video)

Il 25 Aprile è una ricorrenza di straordinario valore sul piano storico e umano. Rammenta la fine dell’occupazione tedesca e la caduta dei governi collaborazionisti, nei paesi invasi nel corso della seconda guerra mondiale, per le vittorie degli Alleati e l’azione dei movimenti partigiani. E' stata una grandissima festa collettiva perchè dava la stura alla sopita Libertà anche grazie alla lotta armata ed alle organizzazioni armate clandestine che hanno condotto la guerriglia contro l’oppressore o comunque svolgendo con spirito di grande sacrificio azioni di sabotaggio.

 

Da ormai settant’anni - come evidenzia una buona enciclopedia (Zanichelli)- in Italia il 25 aprile si celebra l’anniversario della «Liberazione». Quel giorno fu dichiarato «festa nazionale» nell’aprile del 1946, poco prima che nascesse, dal referendum del 2 giugno, la Repubblica italiana. Tre anni più tardi, nel 1949, proprio il 2 giugno divenne il giorno della «festa nazionale». Il 25 aprile fu però definitivamente riconosciuto come una delle festività ufficiali del nuovo ordinamento repubblicano. E come tale ha continuato a essere celebrato sino a oggi. Ma in un clima di condivisione solo relativa, talora segnato da aspre polemiche.

Il 25 aprile 1945 è una data dalle forti valenze simboliche e proprio per questo assai controversa nella memoria individuale e collettiva degli italiani. In quel giorno, infatti, si consumò uno degli snodi più complessi della storia italiana nel passaggio dal Fascismo alla Repubblica.

Che cosa accadde esattamente il 25 aprile 1945? L’Italia, in verità, non fu definitivamente «liberata» in quella data. In diverse importanti città del Nord – il Sud e il Centro erano ormai sotto il controllo degli alleati – infuriavano ancora, violentissimi, gli scontri tra le forze della Resistenza e quelle dell’occupazione nazi-fascista, che dovevano protrarsi per diversi giorni e concludersi tra la fine di aprile e l’inizio di maggio con l’arrivo degli alleati.

Sia pure ridotto all’ombra di se stesso, Mussolini era ancora vivo. E proprio la sera del 25 aprile fuggì da Milano in direzione di Como, scortato da una colonna delle SS, per raggiungere i territori controllati dalla Repubblica Sociale Italiana o direttamente la Germania, a sua volta stretta nella morsa dell’avanzata degli alleati anglo-americani e dei sovietici (Hitler si suicidò il 30 aprile).

Intercettato dai partigiani il 27 aprile nei pressi di Dongo, egli fu fucilato, dopo un rapidissimo processo, il giorno successivo. Poche ore dopo – il 29 aprile, lo stesso giorno in cui il corpo del Duce fu esposto a piazzale Loreto – a Caserta i tedeschi firmarono la resa definitiva, che entrò poi in vigore il 2 maggio. Fu soltanto allora che ebbe fine l’occupazione nazi-fascista del territorio italiano e si concluse davvero la «liberazione» del Paese.

Perché allora festeggiamo l’«anniversario della liberazione» il 25 aprile, e non ad esempio il 2 maggio? Perché il 25 aprile accadde ancora un fatto decisivo. Fu proprio quel giorno, infatti, che il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI) – l’organo che coordinava i diversi gruppi della Resistenza nel Nord del Paese – assunse, su delega del governo nazionale allora presieduto a Roma da Ivanoe Bonomi, i pieni poteri civili e militari e diede l’ordine dell’insurrezione generale nei territori occupati dai nazi-fascisti. Prima ancora della «liberazione» in senso stretto, è questo fatto cruciale che si celebra il 25 aprile: il ruolo svolto dalle forze della Resistenza nel porre fine a ciò che restava allora del Fascismo, all’occupazione nazista del Paese e alla seconda guerra mondiale in Italia e nel processo che doveva poi portare alla fondazione della Repubblica.

È proprio per questo suo implicito riferimento all’idea di una «Repubblica nata dalla Resistenza» che il 25 aprile rimane ancor oggi una data decisiva e al contempo controversa della storia italiana. Decisiva, perché nessuno può mettere seriamente in dubbio il nesso storico tra quel prima (la Resistenza) e quel poi (la Repubblica). Ma controversa, perché quel drammatico passaggio tra il prima e il poi si consumò non soltanto attraverso la lotta contro un efferato occupante straniero, ma anche attraverso una sanguinosissima «guerra civile» che vide opporsi italiani a italiani in nome di due visioni opposte e inconciliabili del mondo, della società e della politica. Una guerra civile le cui ferite hanno continuato a sanguinare per lungo tempo e si stanno forse oggi chiudendo. In allegato un video tratta da "La Voce di Nardò".

 

 

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