Antonio Raffaele, “Il solito capodanno? Ecco come salvarsi”

Si possono regalare dei gusti nuovi ed anche trasgredire utilizzando, ad esempio, delle cime di rape con del pesce. Lavoriamo sulla materia prima del territorio e su una cultura dell’entroterra che affascina sempre di più.

 

Intervista di Marco Marinaci

Un pacchero Carla Latini con oro 24 k, rubino di acqua di ostriche e rapa rossa,  pacchero Carla Latini con oro 24 k, smeraldo di acqua di vongole e lattuga di mare. E’ la stupefacente didascalia a corredo di una foto di Bruno Barillari. Il cibo griffato e’ di Antonio Raffaele. Ed è un bel quadro appeso al muro. Qui, bisogna dirlo, ci si sente in gioielleria, non certo in cucina.  Mi ricorda quelle vetrine di gran gusto che a Parigi svelano sublimi visioni dei grandi maestri cioccolatieri, la vetrina invoglia più di quella di Tiffany, e al posto dei gioielli cioccolatini, dai gusti e dai colori più svariati. Dal moulin rouge a Villa Convento, a un tiro di schioppo da Lecce. Siamo nel regno di Antonio Raffaele classe ’73, executive chef e sommelier del Folie Verdalia. Gli studi in Francia da Herme. E’ lì che ha appreso tutti i rudimenti dell’alta pasticceria. “Avevo 26 anni, - ci racconta – sono andato nel luogo giusto, ed è stata un’esperienza indelebile sul piano formativo, sulla tecnica, la conoscenza e la qualità delle materie prime. Dal burro, alla vaniglia, dal fior di sale al cioccolato”. Antonio è sposato con Silvia da una decina d’anni, l’ha conosciuta venticinque anni fa. Nel tempo libero coltiva le sue passioni: la moda, la musica classica e l’opera, i grandi vini.

Chef, come fare a salvarsi dal “solito” capodanno?

Il consiglio per eccellenza è quello di usare prodotti del territorio senza rincorrere i grandi nomi. Si possono tirare fuori grandi piatti anche con delle alici o delle cozze. Ma anche dei magnifici piatti di verdure. Si possono regalare dei gusti nuovi ed anche trasgredire utilizzando, ad esempio, delle cime di rape con del pesce. Lavoriamo sulla materia prima del territorio e su una cultura dell’entroterra che affascina sempre di più.

Quale è a suo avviso il segreto per diventare chef?

Partire dal basso, facendo tanta gavetta. E’ una vita fatta di grandi sacrifici. Ci si rende subito conto se è un lavoro nei confronti del quale si è tagliati oppure no. Anche perché, come ripeto spesso, non esistono né feste né famiglia. Né mare né montagna. E’ significativo un verso a riguardo di una canzone di Fabri Fibra ”che figata quando gli altri lavorano, e che figata non avere orari”.

Nativo di Paola in provincia di Cosenza Raffaele è nel Salento da una decina d’anni. Mi fa assaggiare una pralina al sigaro cohiba, tabacco da pipa e rhum agricolo e, dulcis in fundo, fava di cacao. Poi è la volta dei profiteroles con glassa al cioccolato valrhona (azienda leader al mondo per produzione di cioccolato). Dentro una mouseline al cocco.

Raffaele tiene alla materia prima in maniera maniacale. “Ritengo che da un prodotto poverissimo, come potrebbe essere la cipolla di tropea o il gambero rosso di Gallipoli sia la materia prima a vincere, a prescindere dalla manipolazione”.  Lo chef calabrese ha inoltre un’attenzione ed una cura irreale dei prodotti del territorio.

“Spesso – confessa – qui si utilizzano  prodotti come il salmone e poi si trascurano ad esempio le alici che rappresentano un pezzetto del nostro patrimonio culturale per eccellenza. Partendo dalle acciughe salate si può arrivare al gelato salato e dunque fino al dessert”.

Chef come si sceglie la pasta?

Si deve guardare innanzitutto alla tracciabilità del grano, rigorosamente nazionale. Prediligo il senatore cappelli. Nato intorno al ’25 dietro indicazioni di Strambelli, la nuova varietà di frumento fu dedicata da Strampelli al marchese abruzzese Raffaele Cappelli senatore del Regno d’Italia che aveva avviato le trasformazioni agrarie in Puglia e sostenuto lo Strampelli nella sua attività, mettendogli a disposizione campi sperimentali, laboratori ed altre risorse. E’ stato riscoperto negli anni ‘90 grazie a Carla Latini. “Una santa donna che ha permesso a chiunque di produrre il grano senza battaglie legali, in quanto il marchio era suo”. “La pasta – continua – ha bisogno di essiccatura lenta a temperature bassa”.

Cosa davvero non le piace?

Proprio chi per troppa leggerezza o superficialità trascura l’importanza della pasta e ci mette poca attenzione. La cattiva qualità fa venir meno anche la grande bellezza, ove ve ne sia, della materia prima che viene utilizzata. Un’altra cosa sottovalutata è la qualità dell’olio, da utilizzare soprattutto a crudo.

Ci fa un esempio di vino imperdibile?

E qui non esita: “Uno Chateau Margoux del 1976. E’ un taglio bordolese. Ciò che colpisce nonostante l’età, è un vino di ben 42 anni, è la freschezza, caratteristica che contraddistingue i grandi vini francesi”.

Ci racconta una curiosità o un aneddoto?

Ricordo un episodio curioso accaduto a Zanzibar. Mi offrirono una tisana a base di caffè, cardamomo, e zenzero. Non ne volevo proprio sapere di assaggiarla. Mi convinse mia moglie. E fu una scelta saggia. Era gustosissima. Da lì è nato un mio dessert ”La liquirizia che non c’è”. Restando in tema di dolci. I suoi must sono: il gelato alla nocciola, campione del mondo nel 2012, il panettone (ci confessa: è uno dei dolci più complessi, i panettoni sono come i figli appena nati, hanno bisogno di assistenza h24)) e la mille foglie con chantilly e vaniglia di Tahiti.

Mi confida il segreto per una crema pasticcera degna di questo nome?

Latte fresco intero, la qualità e la freschezza degli aromi e delle uova. Buccia verde di limone(in Francia è un ‘ossessione). E la vaniglia o qualunque altra spezia utilizzata come ad esempio la cannella.

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